28 ottobre 1971 – Camera dei Comuni
L’atmosfera era carica, le gallerie di diplomatici affollate di spettatori, l’ingresso del palazzo di Westminster bloccati dai manifestanti. C’erano persino sostenitori e curiosi tra i passanti nelle strade limitrofe, gente che non voleva assolutamente mancare un’occasione tanto importante. Il dibattito sulla richiesta della Gran Bretagna di aderire alla Comunità Europea aveva ormai raggiunto il suo culmine.
La Camera stava per votare.
“Vedete laggiù la galleria degli ambasciatori?”, mormorò un addetto anziano. “Non l’ho mai vista così piena da quando ho cominciato a lavorare qui”. Per coloro che ebbero la fortuna di assistere a quell’evento, in un epoca non ancora dominata dalla televisione, il dibattito sembrò trasformarsi in un palcoscenico per molti parlamentari, dal focoso Michael Foot al pacato Jim Callaghan, al disinvolto Jeremy Thorpe.
Anche Jeffrey Archer decise di parlare, ma solo per lamentarsi delle code all’esterno della Camera. Ma quando il Primo Ministro conservatore Edward Heath prese la parola, l’atmosfera sembrò diventare ancora più elettrica.
Hearth era noto per essere un oratore impacciato con le sue vocali strozzate che riflettevano l’insicurezza derivata dall’umile infanzia nel Kent. Fin da quando aveva servito nell’artiglieria reale, durante la seconda guerra mondiale, il primo ministro si era mostrato un appassionato sostenitore del futuro europeo della Gran Bretagna. Ora era arrivato il suo momento.
“Penso che nessun primo ministro prima d’ora abbia chiesto a quest’aula in tempo di pace di prendere una decisione di tale importanza, come mi accingo a fare in questo momento”, esordì. Elencò poi i grandi cambiamenti avvenuti nel mondo nel corso degli ultimi anni, dall’inizio della globalizzazione all’ascesa della Cina.
Dopo il discorso di Heath, la Camera procedette con il voto. Nessuno poteva prevedere il risultato. Quanti conservatori ribelli si sarebbero uniti a Enoch Powell sfidando le ire del partito? Quanti laburisti favorevoli all’Europa avrebbero seguito Roy Jenkins, l’ex cancelliere e guida dell’intellighenzia liberale nella lobby governativa? La tensione era tale che si sarebbe potuta tagliare con un coltello ed alcuni amici di Jenkins erano così preoccupati della sua sicurezza che Roy Hattersley suggerì di organizzare alcune guardie del corpo per scortarlo fino alla macchina dopo la fine della votazione.
Quando finalmente gli scrutatori annunciarono il verdetto – 356 voti favorevoli all’ingresso in Europa, 244 contrari – ci fu una vera e propria esplosione di grida e di insulti. “Bastardo fascista”, gridarono gli avversari all’indirizzo di Jenkins, mentre altri spintonavano e cercavano di prendere a pugni i compagni “traditori” che si erano ribellati alle direttive del partito. Perfino l’austero Enoch Powell si lasciò coinvolgere nella baraonda. “Non si doveva fare, non si doveva fare”, si mise a gridare dal suo banco.
La notizia del voto viaggiò velocemente. L’ex primo ministro Harold Macmillan era rimasto in attesa sulle scogliere di Dover con un grande falò preparato dal movimento europeo. Appena giunse il risultato il falò fu acceso tra le acclamazioni di 500 persone presenti. Più avanti nella notte, un fuoco di risposta venne acceso sulla riva opposta, nel continente, vicino a Calais.
Ma quello fu un giorno di gioia immensa, il più bello di tutta la sua vita politica, soprattutto per un uomo che restio a manifestare le sue emozioni in pubblico. Edward Heath, che si eclissò dai festeggiamenti. Ripensò, come scrisse più tardi, “ai campi di battaglia in Francia, Belgio e Olanda, ai raduni di Norimberga e alla voce scoppiettante di Wendell Wilkie che ascoltavo alla radio nel mio posto di comando in Normandia, nel 1944, e che parlava di un solo mondo”.
Quando giunse al numero 10 di Downing Street, il più riservato degli uomini politici andò nel soggiorno, si sedette al clavicordo e diede libero sfogo alle sue emozioni suonando il primo preludio e fuga per clavicembalo di Bach. Dopo dieci anni di lotta, aveva realizzato il suo sogno.
Ma solo quando la “voce calma e sommessa del clavicordo” smise di risuonare, Healt fu sopraffatto dalla felicità.
History – Dominic Sandbrook, autore del libro “State of Emergency: the Way We Were Britain. 1970-1974
L’atmosfera era carica, le gallerie di diplomatici affollate di spettatori, l’ingresso del palazzo di Westminster bloccati dai manifestanti. C’erano persino sostenitori e curiosi tra i passanti nelle strade limitrofe, gente che non voleva assolutamente mancare un’occasione tanto importante. Il dibattito sulla richiesta della Gran Bretagna di aderire alla Comunità Europea aveva ormai raggiunto il suo culmine.
La Camera stava per votare.
“Vedete laggiù la galleria degli ambasciatori?”, mormorò un addetto anziano. “Non l’ho mai vista così piena da quando ho cominciato a lavorare qui”. Per coloro che ebbero la fortuna di assistere a quell’evento, in un epoca non ancora dominata dalla televisione, il dibattito sembrò trasformarsi in un palcoscenico per molti parlamentari, dal focoso Michael Foot al pacato Jim Callaghan, al disinvolto Jeremy Thorpe.
Anche Jeffrey Archer decise di parlare, ma solo per lamentarsi delle code all’esterno della Camera. Ma quando il Primo Ministro conservatore Edward Heath prese la parola, l’atmosfera sembrò diventare ancora più elettrica.
Hearth era noto per essere un oratore impacciato con le sue vocali strozzate che riflettevano l’insicurezza derivata dall’umile infanzia nel Kent. Fin da quando aveva servito nell’artiglieria reale, durante la seconda guerra mondiale, il primo ministro si era mostrato un appassionato sostenitore del futuro europeo della Gran Bretagna. Ora era arrivato il suo momento.
“Penso che nessun primo ministro prima d’ora abbia chiesto a quest’aula in tempo di pace di prendere una decisione di tale importanza, come mi accingo a fare in questo momento”, esordì. Elencò poi i grandi cambiamenti avvenuti nel mondo nel corso degli ultimi anni, dall’inizio della globalizzazione all’ascesa della Cina.
Dopo il discorso di Heath, la Camera procedette con il voto. Nessuno poteva prevedere il risultato. Quanti conservatori ribelli si sarebbero uniti a Enoch Powell sfidando le ire del partito? Quanti laburisti favorevoli all’Europa avrebbero seguito Roy Jenkins, l’ex cancelliere e guida dell’intellighenzia liberale nella lobby governativa? La tensione era tale che si sarebbe potuta tagliare con un coltello ed alcuni amici di Jenkins erano così preoccupati della sua sicurezza che Roy Hattersley suggerì di organizzare alcune guardie del corpo per scortarlo fino alla macchina dopo la fine della votazione.
Quando finalmente gli scrutatori annunciarono il verdetto – 356 voti favorevoli all’ingresso in Europa, 244 contrari – ci fu una vera e propria esplosione di grida e di insulti. “Bastardo fascista”, gridarono gli avversari all’indirizzo di Jenkins, mentre altri spintonavano e cercavano di prendere a pugni i compagni “traditori” che si erano ribellati alle direttive del partito. Perfino l’austero Enoch Powell si lasciò coinvolgere nella baraonda. “Non si doveva fare, non si doveva fare”, si mise a gridare dal suo banco.
La notizia del voto viaggiò velocemente. L’ex primo ministro Harold Macmillan era rimasto in attesa sulle scogliere di Dover con un grande falò preparato dal movimento europeo. Appena giunse il risultato il falò fu acceso tra le acclamazioni di 500 persone presenti. Più avanti nella notte, un fuoco di risposta venne acceso sulla riva opposta, nel continente, vicino a Calais.
Ma quello fu un giorno di gioia immensa, il più bello di tutta la sua vita politica, soprattutto per un uomo che restio a manifestare le sue emozioni in pubblico. Edward Heath, che si eclissò dai festeggiamenti. Ripensò, come scrisse più tardi, “ai campi di battaglia in Francia, Belgio e Olanda, ai raduni di Norimberga e alla voce scoppiettante di Wendell Wilkie che ascoltavo alla radio nel mio posto di comando in Normandia, nel 1944, e che parlava di un solo mondo”.
Quando giunse al numero 10 di Downing Street, il più riservato degli uomini politici andò nel soggiorno, si sedette al clavicordo e diede libero sfogo alle sue emozioni suonando il primo preludio e fuga per clavicembalo di Bach. Dopo dieci anni di lotta, aveva realizzato il suo sogno.
Ma solo quando la “voce calma e sommessa del clavicordo” smise di risuonare, Healt fu sopraffatto dalla felicità.
History – Dominic Sandbrook, autore del libro “State of Emergency: the Way We Were Britain. 1970-1974