martedì 28 luglio 2015

Quanto costano evasione e sprechi. Ma si parla solo di migranti.


Qualche tempo fa il Ministero dell’Interno ci ha comunicato che ospitare nei centri chi arriva sulle nostre coste costa 980 milioni l’anno (molti di questi provengono da fondi europei).
A giugno erano 78 mila i migranti ospitati nei centri italiani, tra strutture temporanee (48 mila), sistema di accoglienza per richiedenti asilo (20 mila) e centri governativi (10 mila). Per la loro assistenza lo Stato eroga ai centri convenzionati una somma media giornaliera di circa 35 euro al giorno a migrante (le convenzioni si sono livellate su questo valore medio), in cui rientrano anche i circa 2,50 euro al giorno del pocket money. Ma a chi vanno questi soldi? Vediamo.
Tolti i due euro e cinquanta, il resto serve prima di tutto per coprire la spesa del personale: cioè per pagare gli stipendi, i contributi e i contratti degli operatori che lavorano nei centri (spesso giovani italiani). Una parte è spesa per l’alloggio e per il mantenimento delle strutture, che spesso sono di proprietà dei Comuni (italiani). Poi ci sono i fornitori (italiani) di generi alimentari, farmacie, cartolerie, lavanderie e quant’altro. In pratica, tolti i due euro e cinquanta e il cibo, il resto va nelle tasche di italiani.
Certo sono ancora tanti, troppi quelli che speculano sulla pelle dei profughi. Malgrado questi farabutti, non possiamo esimerci da dare accoglienza a queste persone perché l’accoglienza fa parte di accordi internazionali e l’Italia non è esonerata dal rispettarli. In questi giorni un rapporto del centro studi Economia reale di Baldissarri ha rivelato come la mancata lotta a sprechi, corruzione ed evasione fiscale in 13 anni ci sono costati 236 miliardi di Pil. Avete visto qualcuno scendere in strada al grido di “Adesso basta”?
Avete sentito nei politici la purché minima indignazione con chi continua ad accumulare patrimoni attraverso sprechi e ruberie? Dibattiti per informare la gente di quanti italiani si sarebbero potuti aiutare con i soldi recuperati da corruzione ed evasione ne abbiamo forse avuti? Sono state organizzate manifestazioni di piazza dopo gli scandali nella sanità lombarda? Non erano soldi sottratti agli italiani i finti rimborsi alla regione Lombardia?
Diciamolo, siamo uno strano Paese. Dove i miliardi dell’evasione fiscale non sono un problema. Come la corruzione, con i suoi miliardi di costi aggiuntivi. No, questi non sono problemi. Il problema sono i 35 euro al giorno per dare una sistemazione a chi attraversa il nostro Paese in cerca di una vita dignitosa. Un accanimento contro gli uni e stupefacenti tolleranze verso chi ruba continuamente soldi alla collettività.
Dimenticando, tra l’altro, che essere nati a Bergamo piuttosto che in Eritrea, Libia o qualsivoglia villaggio africano, è stata per tutti noi solo una botta di fortuna. Nulla di più.

Johannes Bückler

28 Lugio 2015 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi >>>>>

martedì 14 luglio 2015

Gli eroi dimenticati.


Su Twitter la Macchina del Tempo (#MdT) ha ricordato la storia di Albert Göring, fratello buono di Hermann. @DrKrisKelvin mi ha chiesto di raccontare anche la storia di Mascherpa e Campioni. Lo ringrazio. 

Questo la breve storia di due ammiragli che prestarono servizio durante la seconda guerra nella Regia Marina Italiana: Luigi Mascherpa e Inigo Campioni.

Luigi Mascherpa era nato a Genova il 15 aprile del 1893. Nominato guardiamarina nel 1914, durante la prima guerra mondiale si era distinto come pilota di idrovolanti della Regia Marina guadagnandosi la medaglia d’argento al valor militare. Imbarcato sull’Incrociatore San Giorgio come ufficiale di rotta, nel 1926 viene promosso a capitano di corvetta. Nel 1931 capitano di fregata, poi capitano di vascello e infine gli viene assegnato il grado di contrammiraglio e il comando della piazzaforte di Leros munita di una flotta di sommergibili, di cacciatorpediniere, Mas e 24 batterie antinave e antiaerea.

Inìgo Campioni era nato a Viareggio il 14 novembre 1878. Ammiraglio di
divisione nel 1934, ammiraglio di squadra nel 1936, sottocapo di stato maggiore della Marina nel 1938, nominato senatore del Regno nel 1939; all’ingresso italiano nel secondo conflitto mondiale assume il comando delle forze navali, da lui dirette nelle battaglie di Punta Stilo e Capo Teulada (9 luglio e 27 novembre 1940). Divenuto governatore generale e comandante militare del Dodecaneso, l’8 settembre 1943 guida la resistenza ai tedeschi, in veste di comandante superiore dell’Egeo, sino alla resa dell’Isola di Rodi, avvenuta l’11 settembre, al termine di sanguinosi combattimenti tra reparti italiani e Divisione tedesca “Rhodos”, che prevale grazie all’impiego di carri armati Tigre.

Cosa hanno in comune? Furono accusati di aver aderito, dopo l'8 settembre, agli ordini di Badoglio e di aver ceduto il Dodecaneso. Essendosi rifiutati di collaborare con il governo fascista, entrambi furono arrestati e deportati in Germania e in seguito consegnati alla RSI su sollecitazione di Mussolini. Che aveva un unico scopo: processarli per alto tradimento.

In un periodo in cui i fascisti si sentono galvanizzati dalla resistenza tedesca a Cassino, i due ammiragli vengono portati nel carcere di Parma.
E qui inizia la nostra breve storia.

13 maggio 1944 
Una nuova ondata (l’ennesima) di fortezze volanti anglo-americane ha appena sganciato su Parma una cascata di ferro e fuoco: il centro è stato colpito fino a Barriera Garibaldi. Colpiti anche molti monumenti storici, come il complesso della Pilotta e il Monumento a Verdi.
Ad essere colpita è anche un’ala del carcere San Francesco dove sono rinchiusi Luigi Mascherpa e Inigo Campioni. I partigiani sono riusciti ad entrare e hanno cominciato a liberare diversi detenuti politici, ma Luigi Mascherpa e Inigo Campioni si rifiutano di fuggire. Potrebbero farlo e riparare sulle montagne sottraendosi alla vendetta che sta per scatenarsi contro di loro, ma sono soldati e l’idea della fuga ripugna al loro sentimento.

22 maggio 1944 
Ha luogo il processo presso il famigerato “Tribunale speciale per la difesa dello Stato”. Fino a pochi giorni prima, quando già l’istruttoria era terminata, l'ambiente sembrava non sfavorevole agli ammiragli. Essi erano anzi convinti che il tribunale li avrebbe giudicati con serenità e con equa valutazione dei fatti. Solo all'ultimo momento gli avvocati difensori s'accorgono dal contegno del Gen. Griffini, presidente del tribunale, che la sorte dei loro assistiti è segnata. E’ chiaro: un ordine è arrivato dall'alto.
Si vuole dare una lezione all'elemento militare così come il processo di Verona l'aveva data a quello politico. Il presidente Griffini, che precedentemente s’era mostrato ben disposto verso gl'imputati (tanto che per sottrarli ai disagi del carcere stava per consegnarli alla custodia del convento dei benedettini in attesa del processo), negli ultimi giorni ha cambiato decisamente condotta. Il processo ha luogo nella sede delle assise di Parma. Dei quattro ammiragli imputati, solo Mascherpa e Campioni sono presenti, mentre Pavesi e Leonardi sono contumaci.
La deposizione degli imputati è stata quella della logica, del comune buon senso. L'armistizio era stato firmato, l'ordine dei superiori legittimi era chiaro: non potevano non ubbidire.

Il presidente (come dichiarò in seguito uno degli avvocati difensori) aveva condotto gli interrogatori con trascuratezza come se si trattasse di un furterello da quattro soldi.

22 maggio 1944 ore 19.00 
Comincia la camera di consiglio. C’è solo da attendere e sperare. Attesa che finisce molto presto.

C’è la lettura della sentenza:
Inìgo Campioni: “del delitto previsto e punito dall'art. 103 C. P. militare di guerra in relazione all'art. 241 C. P. perchè, quale ammiraglio di Squadra, Governatore e Comandante militare dell'Egeo, avendo appreso, il giorno 8 settembre 1943, dal radio comunicato delle ore 20, la notizia dell'armistizio e successivamente, alle ore 23 dello stesso giorno, avendo ricevuto l'ordine dal Comando supremo di non ostacolare contatti e sbarchi anglo-americani e di opporsi alle violenze da qualunque altra parte fossero pervenute, comunicò tale ordine ai comandanti dipendenti, dimostrando cosi di dargli la sua piena adesione e l'intenzione di volerlo eseguire, pure essendo esso palesemente criminoso e in contrasto alle leggi di marinaio e di uomo d'onore che gli imponevano, avendone i mezzi e la possibilità, di difendere i possedimenti affidati al suo comando e di evitare a qualunque costo che venissero distaccati dalla Madre patria, come era intendimento dei traditori del Comando supremo”.

Luigi Mascherpa: “del delitto previsto e punito dall'art. 103 C. P. militare di guerra in relazione all'articolo 241 C. P., perchè, quale comandante la base navale di Lero, appreso alle ore 20 del giorno 8 settembre 1943, dal radio comunicato la notizia dell'armistizio e successivamente, alle ore 23 dello stesso giorno, dopo essere stato ricevuto dall'ammiraglio Inigo Campioni l'ordine di immediata cessazione delle ostilità contro gli anglo-americani e di resistenza contro qualsiasi offesa da qualsiasi altra parte provenisse, supinamente lo accettava, trasmettendolo ai reparti dipendenti. Non si opponeva, il 12 stesso settembre, allo sbarco degli inglesi che occupavano l'isola, consentendo così che quel possedimento venisse distaccato dalla Madre patria, senza aver tentato una difesa qualsiasi e fatto quanto gli era imposto dall'onore di marinaio e di soldato, dimostrando In tale maniera la sua volontà piena e cosciente di essere solidale con i traditori del Comando supremo”.

Priamo Leonardi: del delitto previsto e punito dall'art. 103 C.P. militare di guerra in relazione all'art. 241 C. P., perchè, quale comandante la piazzaforte di Augusta, nei giorni 9. 10, 12 luglio 1943, non si opponeva all'attacco anglo-americano, come ne avrebbe dovuto.

Gino Pavesi: del delitto previsto e punito dall'articolo 103 C.P. militare di guerra in relazione all'art. 241 C. P., perchè, quale comandante della base navale di Pantelleria, sottoposta ad attacchi aerei nemici nei primi di giugno 1943, rappresentava, contrariamente al vero, che l'Isola, per il numero dei morti, la scarsità dei viveri e l'assoluta mancanza di acqua, non era in condizione di poter resistere, consigliando cosi la necessità di chiedere la resa, mentre la base ai suoi ordini era ancora efficiente e tale da poter opporre ben altra resistenza, quale la legge dell'onore e del dovere imponevano.

Il Tribunale speciale per la Difesa dello Stato, visto l'articolo 103 C.P.M. di guerra, in relazione all'art. 241 del C.P. dichiara: Campioni Inìgo, Mascherpa Luigi, Leonardi Priamo, Pavesi Gino responsabili dei reati loro ascritti e li condanna alla pena di morte mediante fucilazione al petto.

23 maggio 1944
La giornata di Luigi Mascherpa e Inìgo Campioni è trascorsa senza nessuna novità. Le sorelle di Campioni e la moglie di Mascherpa, che avevano atteso la fine del processo in un sottoscala del tribunale piangendo, hanno già presentato le domande di grazia. Le sorelle di Campioni sono subito partite per il lago di Garda per implorare pietà a Mussolini. Persino Piero Pisenti, Ministro di Giustizia del governo repubblichino, cerca di convincere Mussolini dell’assurdità della condanna. Niente da fare. Mussolini è irremovibile. Che siano fucilati.

Ore 22.00
L'abate De Vincentis, il pio superiore del convento dei benedettini di Parma, è stato appena svegliato da una telefonata. E’ il cappellano delle carceri don Belletti che lo avverte: la domanda di grazia è stata respinta e all’ndomani, all’alba, la sentenza verrà eseguita.
Si alza e parte per le carceri di San Francesco.
Questo il suo racconto:
24 maggio 1944 ore 02.30 
I due ammiragli dormono; li hanno lasciati riposare, ma ora devono essere svegliati. Entrambi capiscono che cosa possa significare quel risveglio insolito nel cuore della notte. “Padre, ci siamo?” chiede Campioni. “Purtroppo”, risponde l'abate. “Va bene, sono pronto” replica l'ammiraglio. Si alzano e si siedono entrambi al tavolino. Vogliono scrivere lettere ai loro familiari. Mascherpa chiede di vedere la moglie che è a Parma, ma non gli viene concesso. Con le lettere essi consegnano al padre alcuni oggetti, l'orologio e la penna stilografica. Poi si confessano durante una Messa celebrata in un altare improvvisato nella cella. Prima della comunione l'abate De Vincentis pronuncia brevi parole. Piange commosso. Dopo la messa vengono recitate le preci per i moribondi. I due condannati non hanno mai parole di odio.

Questa la lettera che Campioni scrisse ai suoi familiari:
Sorelle mie sante! Sì veramente sante; ché altra parola non potrebbe meglio esprimere la bontà ed affettuosità infinita che sono racchiuse in voi; bontà ed affettuosità sorrette da una forza morale che è più che umana. Scosse, angosciate, quasi distrutte dal colpo crudele, tremendo ed inaspettato, avete trovato ancora in voi stesse l’energia e la forza fisica per correre su a Maderno nella speranza del tentativo estremo. Me lo ha detto stamani la consorte del compagno di sventura. 
Ma la pietra che ha cominciato a rotolare sulla china così ripida nulla potrà più fermarla. Nel dolore, nella sventura, assai più che nella tranquilla letizia si rivela l’essenza delle creature e voi, sorelle mie più adorate, siete sante, sante, sante. La parola grazie è troppo infima cosa per dire quello che sento in me. Vi stringo sul cuore con una tenerezza ed un’adorazione che non hanno nome, e sempre con una serenità forte e sicura, che tutti quelli che ho dintorno potranno dirvi. 
E a te, Mamma cara, che mentre scrivo non sai ancora e sempre mi attendi, a te, che nemmeno per un attimo mi esci mai dal cuore e dalla mente, chiudo gli occhi, immagino di prendere il tuo capo fra le mani mie e coprirlo di baci riboccanti di tenera devozione di immensa adorazione. 
Perdonate tutto il male che vi ho dato e che ancora vi darò e grazie, grazie, grazie dell’unica cosa buona che al mondo esista, il bene che mi avete dato e voluto. 
A te mamma, a te Vittorina ed Hilda l’ultimo bacio lunghissimo. 
Inigo 

24 maggio 1944 ore 04.30 
Bisogna partire. Nel cortile delle carceri un automezzo e alcuni carabinieri stanno aspettando. Un brigadiere fa il gesto di mettere loro le manette. Mascherpa e Campioni sorridono e lo assicurarono: tranquillo, non fuggiamo. Il brigadiere si ritrae. Non ci vuole molto ad arrivare al poligono di tiro in una località in periferia dove deve avvenire l’esecuzione.
Un ufficiale della guardia repubblichina legge la sentenza, poi chiede ai condannati se hanno qualche desiderio da esprimere. Uno dei due risponde: "Auguriamoci che l'Italia possa risorgere". Quindi viene disposto il plotone di esecuzione. Vicino ai due condannati ci sono due sedie e due bende. Nè le une nè le altre servono; i due condannati chiedono di restare a occhi scoperti, rigidi sull'attenti. L'abate De Vincentis li abbraccia e fa ripetere loro alcune giaculatorie.
Uno dei due dice rivolto ai militi della polizia ausiliaria già pronti per sparare: “Ragazzi, ricordatevi di far l'Italia più bella di prima”. Parte la raffica.
Il padre benedettino si avvicina per l'estrema unzione. Mascherpa non sembra colpito, non si vede sangue all'esterno; Campioni invece ha il viso insanguinato dalle ferite. Non c’è bisogno del colpo di grazia, la morte è ormai evidente.

26 Settembre 1945 
Nel camposanto di Parma due lapidi di marmo recano scritto con caratteri neri: “Inigo Campioni” e ”Luigi Mascherpa”. Non vi sono aggiunti altri titoli. Le bare erano state poste il 24 maggio 1944 durante il regime della repubblica fascista. Il giorno dopo la radio di Milano annunciava: ”Giustizia è stata fatta”; i giornali registrarono l'avvenimento con titoli vistosi per ordine del ministero della cultura popolare, quindi si provvedeva a stendere sul fatto la cenere della dimenticanza. Nell'Italia del sud già liberata dalle forze alleate invece, appresa la notizia, si celebravano riti in suffragio dei due personaggi che i fascisti avevano considerato come traditori perchè avevano obbedito sino all'ultimo ai precisi ordini dei comandi superiori e legittimi. Una sentenza prestabilita. Oggi una delle salme, quella di Inigo Campioni, ammiraglio di squadra, è stata riesumata. Domani nella basilica di S, Giovanni Evangelista, si svolgeranno alla presenza dei familiari le onoranze funebri dopo le quali la salma partirà per Assisi dove è attesa dalla novantenne mamma.

Luigi Mascherpa e Inigo Campioni. Due uomini che i fascisti hanno considerato traditori perchè avevano obbedito ai precisi ordini dei comandi superiori e legittimi.

Johannes Buckler 

Secondo un comune stereotipo noi italiani saremmo un popolo di furbi, un po' banditi. Casinisti certo, geniali forse, ma inadatti quando si comincia a parlare di cose serie. Conoscendo la nostra storia, forse un briciolo di verità c'è e qualcosa ci meritiamo. Se è per questo siamo anche campioni di linciaggio, se è vero come è vero che Piazzale Loreto lo abbiamo inventato noi. Ma non siamo solo quello. La nostra storia è piena di figli straordinari, di uomini e donne eccezionali, di una moltitudine di eroi. Purtroppo dimenticati. Come Luigi Mascherpa e Inìgo Campioni. Ma forse proprio per rispetto a questi eroi straordinari, a questi uomini che hanno dato la vita per il nostro Paese, che qualche volta dovremmo vergognarci di essere come siamo, di comportarci come a volte ci comportiamo. 

“Specchiatevi ne’ duelli e ne’ congressi di pochi, quanto gli Italiani sieno superiori con le forze, con la destrezza, con lo ingegno”. Machiavelli. Il Principe, 1513. Capitolo XXVI