La vicenda è ancora tutta da appurare, ma l’inchiesta della procura di Bergamo che ha travolto l’ex questore Fortunato Finolli, fa emergere elementi che sembrano comporre una fotografia di questo Paese.
C’è l’amico imprenditore che chiede l’ennesima dilazione dei pagamenti dei contributi per un’azienda di cui è procacciatore d’affari. E sembrano esserci circa 200 società che avrebbero goduto di dilazioni sospette, in nome di una furbizia italica ormai radicata in molti rami della nostra società. In molti, probabilmente, pensavano di essere furbi, più furbi degli altri, tutto qui.
Una furbizia rappresentata al meglio da Giuseppe Prezzolini nel suo: «Codice della vita italiana» pubblicato nel 1921. Non solo una raccolta di aforismi che rappresentava gli italiani di quel periodo, ma una divertente caricatura, purtroppo sempre attuale. Prezzolini scriveva che i cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. E fin qui. Però a differenza dei furbi, i fessi si riconoscono subito.
Pagano per intero le tasse (ma dai!), pagano il biglietto dell’autobus e non hanno mogli, figli, cognati o affini assunti nella Pubblica Amministrazione tramite raccomandazione. Di regola mantengono la parola data, anche a costo di perderci.
Non parcheggiano nei posti riservati agli invalidi, rispettano diligentemente le code negli uffici postali e, incredibile a dirsi, hanno dei principi.
Già. I principi, quelli che mancano ai furbi, che di regola hanno solo dei fini. E qui sta la fregatura. Nel senso che poi il furbo se ne approfitta.
A differenza degli altri, infatti, il furbo lavora sempre in un posto che si è meritato, non per le sue capacità, ma per la sua abilità nel fingere di averle. Segni distintivi del furbo? Automobili di lusso, vacanze da sogno, pellicce, ville e dichiarazioni dei redditi mai sopra i 15.000 euro lordi. Non solo.
I furbi hanno spesso uno zio politico, un funzionario compiacente, magari anche un dirigente pubblico amico, che li aiuti a non pagare i contributi dovuti, nei tempi e termini stabiliti dalla legge. E quando accade questo, ai fessi rimane solo il vago (e neppure tanto vago) sospetto di chi, alla fine, dovrà pagarli quei maledetti contributi.
Insomma, l’Italia va avanti così e da molto tempo, c’è chi lavora e paga anche per i furbi. Ma la speranza è l’ultima a morire. Perché in un Paese, appena appena normale, i furbi (e quindi i disonesti) non possono averla vinta per sempre.
Certo, se dopo un secolo siamo ancora allo stesso punto forse la colpa è anche di molti fessi e della loro malcelata ammirazione per i furbi.
Per questo, e lo ripeto da tempo, smettere di ammirare i disonesti sarebbe già un grosso passo avanti.
Johannes Bückler
4 Aprile 2015 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi >>>>>
C’è l’amico imprenditore che chiede l’ennesima dilazione dei pagamenti dei contributi per un’azienda di cui è procacciatore d’affari. E sembrano esserci circa 200 società che avrebbero goduto di dilazioni sospette, in nome di una furbizia italica ormai radicata in molti rami della nostra società. In molti, probabilmente, pensavano di essere furbi, più furbi degli altri, tutto qui.
Una furbizia rappresentata al meglio da Giuseppe Prezzolini nel suo: «Codice della vita italiana» pubblicato nel 1921. Non solo una raccolta di aforismi che rappresentava gli italiani di quel periodo, ma una divertente caricatura, purtroppo sempre attuale. Prezzolini scriveva che i cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. E fin qui. Però a differenza dei furbi, i fessi si riconoscono subito.
Pagano per intero le tasse (ma dai!), pagano il biglietto dell’autobus e non hanno mogli, figli, cognati o affini assunti nella Pubblica Amministrazione tramite raccomandazione. Di regola mantengono la parola data, anche a costo di perderci.
Non parcheggiano nei posti riservati agli invalidi, rispettano diligentemente le code negli uffici postali e, incredibile a dirsi, hanno dei principi.
Già. I principi, quelli che mancano ai furbi, che di regola hanno solo dei fini. E qui sta la fregatura. Nel senso che poi il furbo se ne approfitta.
A differenza degli altri, infatti, il furbo lavora sempre in un posto che si è meritato, non per le sue capacità, ma per la sua abilità nel fingere di averle. Segni distintivi del furbo? Automobili di lusso, vacanze da sogno, pellicce, ville e dichiarazioni dei redditi mai sopra i 15.000 euro lordi. Non solo.
I furbi hanno spesso uno zio politico, un funzionario compiacente, magari anche un dirigente pubblico amico, che li aiuti a non pagare i contributi dovuti, nei tempi e termini stabiliti dalla legge. E quando accade questo, ai fessi rimane solo il vago (e neppure tanto vago) sospetto di chi, alla fine, dovrà pagarli quei maledetti contributi.
Insomma, l’Italia va avanti così e da molto tempo, c’è chi lavora e paga anche per i furbi. Ma la speranza è l’ultima a morire. Perché in un Paese, appena appena normale, i furbi (e quindi i disonesti) non possono averla vinta per sempre.
Certo, se dopo un secolo siamo ancora allo stesso punto forse la colpa è anche di molti fessi e della loro malcelata ammirazione per i furbi.
Per questo, e lo ripeto da tempo, smettere di ammirare i disonesti sarebbe già un grosso passo avanti.
Johannes Bückler
4 Aprile 2015 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi >>>>>
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