Marco frequentava il Liceo Lussana a Bergamo. Il primo giorno di scuola si è presentato in classe, ha lasciato lo zaino vicino al suo banco ed è uscito dall’aula. Passando dalla scala di emergenza è salito fino al quarto piano e si è lanciato nel vuoto. E’ morto due giorni fa all’Ospedale di Bergamo.
La morte di Marco è una di quelle notizie che non vorremmo leggere mai.
Quando accadono questi fatti nella testa ci frullano mille domande a cui è difficile dare una risposta.
Noi adulti tendiamo generalmente a vedere l’adolescenza come un periodo di confusione, di sofferenza, dove i cambiamenti d’umore sono all’ordine del giorno. Gli esperti ci dicono che è nell’ordine naturale delle cose, che è una fase che abbiamo passato tutti e che serve a crescere. Già. Poi incontri sulla tua strada un ragazzo di 15 anni che il primo giorno di scuola preferisce andarsene piuttosto che affrontare quello che tutti ci dicono essere “la normalità” e tutto questo castello di certezze ti crolla addosso.
Forse è inutile farsi troppe domande. Inutile chiedersi se sia stata la confusione, la mancanza di un minimo di felicità e di gioia, l’inquietudine o chissà che altro a fargli compiere quel gesto. Non lo sapremo mai.
Quello che è certo (ed è inutile negarlo), è che esiste il problema dei tanti, troppi ragazzi che non ce la fanno a superare questo momento della vita. Inutile anche tentare di allontanare il pensiero che in fondo queste vicende non ci riguardano.
Ci riguardano eccome, tutti. Pensiamo che ai nostri ragazzi ormai non manchi niente solo perché possiamo, a differenza dei nostri padri, esaudire molti dei loro desideri materiali e pensiamo con questo di aver ottemperato ai nostri doveri di genitori. Non solo. Pretendiamo che la scuola si faccia carico di lacune che noi stessi a volte evitiamo di colmare.
Ma cosa possiamo chiedere alla scuola. Possiamo forse pretendere che ogni insegnante sia, per ogni alunno, educatore, tutor, guida di vita, psicologo, amico o chissà che altro?
Una cosa la possiamo pretendere, quella sì, ma questo vale soprattutto per noi genitori.
Ed è quello di sapere che i nostri ragazzi non hanno solo voglia d’imparare, non hanno solo voglia di “prendere un diploma”, ma vogliono soprattutto raccontare, condividere, confidarsi e farsi ascoltare; insomma, hanno voglia di vivere. Ed è qui che forse manchiamo un po’ tutti.
Cosa possiamo fare? Non lo so, ma una cosa è certa. Non smettiamo mai di parlare con loro. E’ il silenzio degli adulti che fa loro più male.
Meglio un sano frastuono al silenzio dell’indifferenza. Nel frattempo facciamo in modo d’imparare da questi tragici fatti, cominciando da oggi.
In fondo non ci vuole molto. Basta una semplice risposta alla domanda: quando è stata l’ultima volta che abbiamo abbracciato stretto nostro figlio o nostra figlia e abbiamo detto loro “ti vogliamo bene, ricorda, per qualsiasi cosa noi ci siamo e ci saremo sempre?”
Johannes Bückler
27 Settembre 2014 - Corriere della Sera - Bergamo
La morte di Marco è una di quelle notizie che non vorremmo leggere mai.
Quando accadono questi fatti nella testa ci frullano mille domande a cui è difficile dare una risposta.
Noi adulti tendiamo generalmente a vedere l’adolescenza come un periodo di confusione, di sofferenza, dove i cambiamenti d’umore sono all’ordine del giorno. Gli esperti ci dicono che è nell’ordine naturale delle cose, che è una fase che abbiamo passato tutti e che serve a crescere. Già. Poi incontri sulla tua strada un ragazzo di 15 anni che il primo giorno di scuola preferisce andarsene piuttosto che affrontare quello che tutti ci dicono essere “la normalità” e tutto questo castello di certezze ti crolla addosso.
Forse è inutile farsi troppe domande. Inutile chiedersi se sia stata la confusione, la mancanza di un minimo di felicità e di gioia, l’inquietudine o chissà che altro a fargli compiere quel gesto. Non lo sapremo mai.
Quello che è certo (ed è inutile negarlo), è che esiste il problema dei tanti, troppi ragazzi che non ce la fanno a superare questo momento della vita. Inutile anche tentare di allontanare il pensiero che in fondo queste vicende non ci riguardano.
Ci riguardano eccome, tutti. Pensiamo che ai nostri ragazzi ormai non manchi niente solo perché possiamo, a differenza dei nostri padri, esaudire molti dei loro desideri materiali e pensiamo con questo di aver ottemperato ai nostri doveri di genitori. Non solo. Pretendiamo che la scuola si faccia carico di lacune che noi stessi a volte evitiamo di colmare.
Ma cosa possiamo chiedere alla scuola. Possiamo forse pretendere che ogni insegnante sia, per ogni alunno, educatore, tutor, guida di vita, psicologo, amico o chissà che altro?
Una cosa la possiamo pretendere, quella sì, ma questo vale soprattutto per noi genitori.
Ed è quello di sapere che i nostri ragazzi non hanno solo voglia d’imparare, non hanno solo voglia di “prendere un diploma”, ma vogliono soprattutto raccontare, condividere, confidarsi e farsi ascoltare; insomma, hanno voglia di vivere. Ed è qui che forse manchiamo un po’ tutti.
Cosa possiamo fare? Non lo so, ma una cosa è certa. Non smettiamo mai di parlare con loro. E’ il silenzio degli adulti che fa loro più male.
Meglio un sano frastuono al silenzio dell’indifferenza. Nel frattempo facciamo in modo d’imparare da questi tragici fatti, cominciando da oggi.
In fondo non ci vuole molto. Basta una semplice risposta alla domanda: quando è stata l’ultima volta che abbiamo abbracciato stretto nostro figlio o nostra figlia e abbiamo detto loro “ti vogliamo bene, ricorda, per qualsiasi cosa noi ci siamo e ci saremo sempre?”
Johannes Bückler
27 Settembre 2014 - Corriere della Sera - Bergamo
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