In questi giorni abbiamo sentito parlare di anatocismo. Per i non addetti ai lavori, mi permetto di ricordare il significato del termine. La definizione è stata estrapolata da una enciclopedia on.line: “Con il termine anatocismo (dal greco anà - sopra, e tokòs - prodotto) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi).
Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti "composti". Esempi di anatocismo sono il calcolo dell'interesse attivo su un conto di deposito, o il calcolo dell'interesse passivo di un mutuo”.
Alcuni giorni fa è stato possibile registrare la mancata approvazione della legge che prevedeva l’abolizione dell’anatocismo. Mario Draghi, nella sua prima audizione della nuova legislatura di fronte alla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo a Strasburgo, aveva reso dichiarazioni sulla difficile congiuntura economica. Le attese della Bce per la seconda metà del 2014 e il 2015 erano quelle per un recupero più consistente dell’attività economica. Sugli eventuali e possibili recuperi, era stato ipotizzato l’incoraggiamento del credito, eventuale riduzione del tasso di interesse, e l’ipotetico programma di rifinanziamento delle banche finalizzato alla concessione di credito a famiglie e imprese. Puntualmente i recenti dati ISTAT hanno confermato il momento di profonda recessione.
Quanto promesso sono tutti bei propositi. Analizzando l’operatività di numerose banche (italiane) è possibile notare come lo sguardo delle stesse è rivolto in ben altra direzione. In questo momento il sistema bancario italiano è impegnato a realizzare facili guadagni, certi e altamente remunerativi. Come? Certamente non concedendo credito alle famiglie e ad imprese, mutui per l’acquisto della prima casa, così come auspicato dagli appelli del Presidente della BCE. Sul sito di una affermata azienda del settore della commercializzazione dei diamanti, è possibile leggere che “la stessa è una società di intermediazione che vuole rappresentare il punto di incontro tra la domanda e l’offerta dell’investimento in diamanti.
La domanda è rappresentata dalla richiesta di cittadini italiani che desiderano investire in diamanti”. La negoziazione è garantita da un gruppo di banche che hanno aderito a questa iniziativa e che hanno costituito una partnership per gli investimenti in questo settore, ricevendo in contropartita una lauta commissione ( qualcuno indica il 12% circa).
“Oggi, investire in diamanti, è un’ottima opportunità per chi vuole diversificare il proprio portafoglio senza correre rischi, scegliendo un bene che, storicamente, si è sempre rivalutato coprendo inflazione e svalutazione.
Parlare di investimento in diamanti significa proporre l’investimento nel bene rifugio per antonomasia: è il più grande valore nel più piccolo spazio”.
La cosa che stupisce è che la banca (a cui ci si rivolge per l’operazione) non è tenuta – non si sa in virtù di quale principio o norma – alla segnalazione (tracciabilità) dei dati personali dei richiedenti l’operazione, così come previsto dalle norme dell’antiriciclaggio per tutte le operazioni che superano un certo importo.
Quindi chiunque può tranquillamente accedere a questo tipo di operazione, senza temere di essere identificato e di rimetterci nulla. Si. Perché il bene (diamanti) non è pignorabile o sequestrato in caso di reato fiscale. Mi chiedo com’è possibile non prevedere controlli sulla correttezza e regolarità di queste operazioni, non ipotizzando comunque una forma di rilevazione e segnalazioni alle Autorità competenti.
Di fatto ritengo, da uomo della strada, che tutti coloro che si avvicinano a questo tipo di transazioni (certamente la gran parte) sia finalizzato ad un investimento sicuro, lontano da occhi e controlli indiscreti.
Di fronte a questo scenario, mi chiedo e chiedo agli addetti ai lavori, se sia possibile trovarsi davanti ad una scarsa attenzione dei preposti ai controlli, o alla carenza di disposizioni di legge che hanno come obiettivo il controllo delle attività bancarie o il rispetto della normativa antiriciclaggio.
Su tutta la vicenda, sarebbe interessante e certamente costruttivo un parere del preposto all’Autorità nazionale anticorruzione, Dott. Raffaele Cantone.
Rino Impronta
Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti "composti". Esempi di anatocismo sono il calcolo dell'interesse attivo su un conto di deposito, o il calcolo dell'interesse passivo di un mutuo”.
Alcuni giorni fa è stato possibile registrare la mancata approvazione della legge che prevedeva l’abolizione dell’anatocismo. Mario Draghi, nella sua prima audizione della nuova legislatura di fronte alla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo a Strasburgo, aveva reso dichiarazioni sulla difficile congiuntura economica. Le attese della Bce per la seconda metà del 2014 e il 2015 erano quelle per un recupero più consistente dell’attività economica. Sugli eventuali e possibili recuperi, era stato ipotizzato l’incoraggiamento del credito, eventuale riduzione del tasso di interesse, e l’ipotetico programma di rifinanziamento delle banche finalizzato alla concessione di credito a famiglie e imprese. Puntualmente i recenti dati ISTAT hanno confermato il momento di profonda recessione.
Quanto promesso sono tutti bei propositi. Analizzando l’operatività di numerose banche (italiane) è possibile notare come lo sguardo delle stesse è rivolto in ben altra direzione. In questo momento il sistema bancario italiano è impegnato a realizzare facili guadagni, certi e altamente remunerativi. Come? Certamente non concedendo credito alle famiglie e ad imprese, mutui per l’acquisto della prima casa, così come auspicato dagli appelli del Presidente della BCE. Sul sito di una affermata azienda del settore della commercializzazione dei diamanti, è possibile leggere che “la stessa è una società di intermediazione che vuole rappresentare il punto di incontro tra la domanda e l’offerta dell’investimento in diamanti.
La domanda è rappresentata dalla richiesta di cittadini italiani che desiderano investire in diamanti”. La negoziazione è garantita da un gruppo di banche che hanno aderito a questa iniziativa e che hanno costituito una partnership per gli investimenti in questo settore, ricevendo in contropartita una lauta commissione ( qualcuno indica il 12% circa).
“Oggi, investire in diamanti, è un’ottima opportunità per chi vuole diversificare il proprio portafoglio senza correre rischi, scegliendo un bene che, storicamente, si è sempre rivalutato coprendo inflazione e svalutazione.
Parlare di investimento in diamanti significa proporre l’investimento nel bene rifugio per antonomasia: è il più grande valore nel più piccolo spazio”.
La cosa che stupisce è che la banca (a cui ci si rivolge per l’operazione) non è tenuta – non si sa in virtù di quale principio o norma – alla segnalazione (tracciabilità) dei dati personali dei richiedenti l’operazione, così come previsto dalle norme dell’antiriciclaggio per tutte le operazioni che superano un certo importo.
Quindi chiunque può tranquillamente accedere a questo tipo di operazione, senza temere di essere identificato e di rimetterci nulla. Si. Perché il bene (diamanti) non è pignorabile o sequestrato in caso di reato fiscale. Mi chiedo com’è possibile non prevedere controlli sulla correttezza e regolarità di queste operazioni, non ipotizzando comunque una forma di rilevazione e segnalazioni alle Autorità competenti.
Di fatto ritengo, da uomo della strada, che tutti coloro che si avvicinano a questo tipo di transazioni (certamente la gran parte) sia finalizzato ad un investimento sicuro, lontano da occhi e controlli indiscreti.
Di fronte a questo scenario, mi chiedo e chiedo agli addetti ai lavori, se sia possibile trovarsi davanti ad una scarsa attenzione dei preposti ai controlli, o alla carenza di disposizioni di legge che hanno come obiettivo il controllo delle attività bancarie o il rispetto della normativa antiriciclaggio.
Su tutta la vicenda, sarebbe interessante e certamente costruttivo un parere del preposto all’Autorità nazionale anticorruzione, Dott. Raffaele Cantone.
Rino Impronta