martedì 18 febbraio 2014

Affinché non sia un contributo a fondo perduto.

Quanti di noi hanno avuto modo di parlare o discutere di “scala mobile”?
Ufficialmente conosciuta come “indennità di contingenza”, alla fine degli anni ’70 e inizio anni ’80, fu oggetto di una sua rivisitazione e di una riflessione sulla sua erogazione. Esisteva un “paniere”, contenente beni particolari di largo consumo.
Con riferimento all’andamento dei prezzi di tali beni, un’apposita Commissione procedeva, trimestralmente, alla verifica dell’andamento dei prezzi dei predetti beni, provvedendo - con il meccanismo della scala mobile - all’adeguamento del costo della vita.
Lo scenario economico non era come quello di oggi ma, al fine di recuperare il potere di acquisto dei salari, sindacati e Confindustria affrontarono la soluzione di questo problema.
Infatti la stessa scala mobile fu abrogata tra il 1984 e il 1992. Motivazione: qualcuno si era accorto che era nato un circolo vizioso che aveva prodotto comunque la crescita dell’inflazione.
Chiedo ancora un piccolo sforzo di memoria: spero che tutti ricordano (mi rivolgo a coloro che erano attivi nel mondo del lavoro) che ad un certo punto – proprio alla fine degli ’70 e i primi anni ’80 – si pensò (prima di abolire la scala mobile) di congelare la stessa, per le cause esposte in precedenza.
Al fine di non provocare danni notevoli ai lavoratori, i vari governi in carica decisero di sostituire il mancato adeguamento dei salari – adeguamento della scala mobile – trasformando l’importo maturato e non riconosciuto, in titoli di stato al portatore (speciali emissioni di BTP) con scadenza quinquennale e decennale e con tassi a due cifre.
Lo Stato difendeva i percettori di salari e stipendi, riconoscendo loro - a fronte degli aumenti del costo della vita - importi che producevano interessi semestrali e il capitale riscuotibile alla loro scadenza. Veniamo ai giorni nostri. Lo scenario è simile, ma non uguale, il momento è difficile e le cause sono note un po’ a tutti: disoccupazione - alta quella giovanile -, chiusura di aziende, sistema PMI che non riesce ad incassare i crediti nei confronti dello Stato a fronte di servizi offerti, e tante altre ragioni ben note a chi segue l’andamento della crisi di questi ultimi anni.
Sono sotto gli occhi di tutti anche le iniziative che lo Stato ha provato a realizzare e i risultati ottenuti.
Mi riferisco in particolare ai provvedimenti nei confronti dei c.d. “pensionati d’oro”. Tutte persone benestanti, che vivono di rendita, con case di lusso ai Caraibi e Jet privati. Questo è quanto ha immaginato chi ha provveduto ad emanare i provvedimenti, o suggerire soluzioni inopportune e non soffermandosi sulla loro incostituzionalità.
Ciò premesso - tralasciando tutto il resto che è sotto gli occhi di tutti – mi viene spontaneo suggerire (agli autori di quei provvedimenti) di valutare la possibilità di riconoscere un ristoro ai pensionati colpiti dall’obbligo di versare il “contributo di solidarietà” e subire il blocco della perequazioni.
In particolare - fermo restando il prelievo del contributo e il blocco della perequazione, nelle forme e nelle percentuali previste - sarebbe interessante considerare questo prelievo una forma di “prestito forzato” alle casse dello Stato.
Per questo motivo lo stesso Stato, si impegnerebbe - con l’emissione di particolare forme di titoli di stato - a restituire le somme trattenute alla scadenza dei titoli.
Gli obiettivi sarebbero interessanti: intanto noi pensionati oggi svolgiamo il ruolo di ammortizzatori sociali e, solo grazie a noi, molti giovani (figli e nipoti) possono permettersi di sopravvivere alle difficoltà del momento.
Inoltre si garantirebbe il recupero (e non il versamento a fondo perduto) a distanza di anni, forse in un momento migliore per le nostre finanze, di somme che farà certamente comodo disporre.
Lancio l’idea, sempre in forma provocatoria, nella speranza che siano altri - più importanti ed esperti di chi scrive - a sostenere la causa e proporsi come sostenitori della soluzione di questo problema.
Saluti
Rino Impronta

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