Enrico Marro, giornalista economico del Corriere della Sera, avanza una proposta al Papa.
Oggi a mezzogiorno gli occhi dei romani e del mondo saranno puntati con rinnovato interesse sulla finestra al terzo piano del Palazzo Apostolico in piazza San Pietro per l’Angelus del Papa.
Merito di Jorge Mario Bergoglio che, attorno alla figura di Francesco, ha calamitato l’attenzione di credenti e non credenti, in attesa ogni volta di un nuovo segno.
Perché è il linguaggio dei segni, dei gesti, del corpo che ha caratterizzato le prime tre settimane di questo pontificato sorprendente.
Era da più di un decennio che non vedevamo un Papa nella pienezza della salute, prima per via della lunga, lenta e inesorabile malattia che minò il vigore di Karol Wojtyla, poi per via di una certa staticità di Joseph Ratzinger.
Siamo tornati così al Papa che solleva al cielo i bambini, abbraccia e bacia gli infermi.
E non avevamo mai visto un Papa appena eletto prendere il pulmino insieme con i cardinali all’uscita dal conclave, pagare il conto dell’albergo dove ha soggiornato prima dell’elezione, mettersi fuori dalla chiesa dove ha celebrato messa e salutare uno a uno i fedeli che escono, baciare i piedi a una ragazza mussulmana, portare la croce di ferro anziché d’oro, rinunciare alla macchina papale e all’appartamento occupato da tutti i suoi predecessori a partire dal 1903.
Il vescovo di Roma ha deciso di restare nella più modesta residenza di Santa Marta.
Il mondo ha applaudito questa scelta, coerente con l’auspicio dello stesso Bergoglio: «Ah come vorrei una chiesa povera e per i poveri!», forse la frase più dirompente pronunciata finora dal Papa, sgorgata dal cuore, con un sospiro e levando gli occhi al cielo, interrompendo per un momento la lettura del discorso ai giornalisti riuniti nell’aula Nervi tre giorni dopo la chiusura del conclave.
Ma ora che ne sarà dell’appartamento papale?
Ci permettiamo di avanzare una proposta: perché non aprire le stanze al pubblico, esclusa la domenica ovviamente, poiché nessuno di noi vuole rinunciare all’Angelus dalla finestra dove si sono affacciati, per discorsi rimasti nella storia, da Papa Giovanni XXIII a Papa Giovanni Paolo II.
Nei giorni feriali, però, si potrebbe fare delle stanze papali un tour a beneficio dei cittadini di Roma e del mondo.
Con un biglietto a pagamento, mettiamo di 5 euro, da destinare interamente ai poveri, innanzitutto delle periferie romane.
Ci piace pensare che il Vescovo di Roma non troverà irrispettosa questa proposta. Certo qualcuno storcerà il naso.
A cominciare da quei siti conservatori che già hanno messo nel mirino la rivoluzione francescana di Bergoglio.
Qualcun altro osserverà che Francesco comunque sta utilizzando l’appartamento per le udienze private. Noi pensiamo che aprire le stanze al pubblico potrebbe essere un altro segno del Papa dei poveri.
Tutti i rapporti segnalano un aumento degli indici di povertà, emarginazione e disagio sociale nella capitale.
Ma più di qualsiasi ufficio studi sono le parrocchie, che agendo sul territorio nel senso auspicato da Bergoglio, sanno come stanno le cose, conoscono di persona chi ha bisogno e possono intervenire.
Dalle stanze del Papa alle case dei poveri.
Enrico Marro
07 Aprile 2013 Fonte: Corriere della Sera - Roma
Oggi a mezzogiorno gli occhi dei romani e del mondo saranno puntati con rinnovato interesse sulla finestra al terzo piano del Palazzo Apostolico in piazza San Pietro per l’Angelus del Papa.
Merito di Jorge Mario Bergoglio che, attorno alla figura di Francesco, ha calamitato l’attenzione di credenti e non credenti, in attesa ogni volta di un nuovo segno.
Perché è il linguaggio dei segni, dei gesti, del corpo che ha caratterizzato le prime tre settimane di questo pontificato sorprendente.
Era da più di un decennio che non vedevamo un Papa nella pienezza della salute, prima per via della lunga, lenta e inesorabile malattia che minò il vigore di Karol Wojtyla, poi per via di una certa staticità di Joseph Ratzinger.
Siamo tornati così al Papa che solleva al cielo i bambini, abbraccia e bacia gli infermi.
E non avevamo mai visto un Papa appena eletto prendere il pulmino insieme con i cardinali all’uscita dal conclave, pagare il conto dell’albergo dove ha soggiornato prima dell’elezione, mettersi fuori dalla chiesa dove ha celebrato messa e salutare uno a uno i fedeli che escono, baciare i piedi a una ragazza mussulmana, portare la croce di ferro anziché d’oro, rinunciare alla macchina papale e all’appartamento occupato da tutti i suoi predecessori a partire dal 1903.
Il vescovo di Roma ha deciso di restare nella più modesta residenza di Santa Marta.
Il mondo ha applaudito questa scelta, coerente con l’auspicio dello stesso Bergoglio: «Ah come vorrei una chiesa povera e per i poveri!», forse la frase più dirompente pronunciata finora dal Papa, sgorgata dal cuore, con un sospiro e levando gli occhi al cielo, interrompendo per un momento la lettura del discorso ai giornalisti riuniti nell’aula Nervi tre giorni dopo la chiusura del conclave.
Ma ora che ne sarà dell’appartamento papale?
Ci permettiamo di avanzare una proposta: perché non aprire le stanze al pubblico, esclusa la domenica ovviamente, poiché nessuno di noi vuole rinunciare all’Angelus dalla finestra dove si sono affacciati, per discorsi rimasti nella storia, da Papa Giovanni XXIII a Papa Giovanni Paolo II.
Nei giorni feriali, però, si potrebbe fare delle stanze papali un tour a beneficio dei cittadini di Roma e del mondo.
Con un biglietto a pagamento, mettiamo di 5 euro, da destinare interamente ai poveri, innanzitutto delle periferie romane.
Ci piace pensare che il Vescovo di Roma non troverà irrispettosa questa proposta. Certo qualcuno storcerà il naso.
A cominciare da quei siti conservatori che già hanno messo nel mirino la rivoluzione francescana di Bergoglio.
Qualcun altro osserverà che Francesco comunque sta utilizzando l’appartamento per le udienze private. Noi pensiamo che aprire le stanze al pubblico potrebbe essere un altro segno del Papa dei poveri.
Tutti i rapporti segnalano un aumento degli indici di povertà, emarginazione e disagio sociale nella capitale.
Ma più di qualsiasi ufficio studi sono le parrocchie, che agendo sul territorio nel senso auspicato da Bergoglio, sanno come stanno le cose, conoscono di persona chi ha bisogno e possono intervenire.
Dalle stanze del Papa alle case dei poveri.
Enrico Marro
07 Aprile 2013 Fonte: Corriere della Sera - Roma
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