Ogni volta che penso a noi italiani mi viene in mente il personaggio di Tafazzi, campione dell’autolesionismo.
Mentre negli altri Paesi (e girando il mondo ne ho avuto la prova) si vantano per la minima stupidata, noi riusciamo a ingigantire i nostri difetti e sminuire le nostre virtù.
Per esempio si continua a parlare degli italiani che fuggono all’estero per i più svariati motivi, e mai una volta, di tutti quegli stranieri che hanno scelto il nostro Paese per viverci.
Certo, non saremo campioni di senso civico (penso alle tasse evase), certo non siamo più e da tempo un paese di santi, poeti e navigatori (sich!) e rispetto agli altri Paesi non dimostriamo quotidianamente un vero grado di appartenenza alla nostra nazione (salvo poi ricompattarci in modo incredibile in grandi momenti di difficoltà), ma siamo un grande Paese, accidenti.
Siamo ai primi posti nel mondo come potenza economica mondiale, (mica bruscolini) la seconda economia europea, membro fondatore dell’UE, dell’OCSE, del Consiglio d’Europa. Aderiamo all’ONU e al trattato di Schengen, membro del G7, G8 e G20.
Quindi?
E questo (diciamolo sottovoce via) malgrado negli ultimi 50 anni non si è visto l’ombra di una classe politica degna di questo nome.
Non voglio entrare nel merito del quesito di questi ultimi tempi “possiamo farcela da soli?” se riferito alla possibilità di chiedere l’attivazione del fondo salva Stati (per questo meglio lasciare agli esperti), ma se estendessimo il quesito al sistema Paese e alle sue potenzialità, la risposta è già scritta.
Nella nostra storia, nelle nostre imprese, nella nostra capacità di superare gli ostacoli.
Nel nostro genio, nella nostra fantasia, nella nostra immensa creatività.
In milioni d’imprenditori, liberi professionisti, lavoratori, pensionati, insegnanti, casalinghe (e mille altre categorie) che si alzano ogni mattina con l’intento di costruire qualcosa per questo Paese.
Quindi un invito: smettiamola di denigrarci e cominciamo a essere fieri di noi stessi.
Tanto alla fine una cosa la sappiamo tutti (e se lo mettano in testa anche oltralpe): a noi “chi c’ammazza”?
Un caro salutoMentre negli altri Paesi (e girando il mondo ne ho avuto la prova) si vantano per la minima stupidata, noi riusciamo a ingigantire i nostri difetti e sminuire le nostre virtù.
Per esempio si continua a parlare degli italiani che fuggono all’estero per i più svariati motivi, e mai una volta, di tutti quegli stranieri che hanno scelto il nostro Paese per viverci.
Certo, non saremo campioni di senso civico (penso alle tasse evase), certo non siamo più e da tempo un paese di santi, poeti e navigatori (sich!) e rispetto agli altri Paesi non dimostriamo quotidianamente un vero grado di appartenenza alla nostra nazione (salvo poi ricompattarci in modo incredibile in grandi momenti di difficoltà), ma siamo un grande Paese, accidenti.
Siamo ai primi posti nel mondo come potenza economica mondiale, (mica bruscolini) la seconda economia europea, membro fondatore dell’UE, dell’OCSE, del Consiglio d’Europa. Aderiamo all’ONU e al trattato di Schengen, membro del G7, G8 e G20.
Quindi?
E questo (diciamolo sottovoce via) malgrado negli ultimi 50 anni non si è visto l’ombra di una classe politica degna di questo nome.
Non voglio entrare nel merito del quesito di questi ultimi tempi “possiamo farcela da soli?” se riferito alla possibilità di chiedere l’attivazione del fondo salva Stati (per questo meglio lasciare agli esperti), ma se estendessimo il quesito al sistema Paese e alle sue potenzialità, la risposta è già scritta.
Nella nostra storia, nelle nostre imprese, nella nostra capacità di superare gli ostacoli.
Nel nostro genio, nella nostra fantasia, nella nostra immensa creatività.
In milioni d’imprenditori, liberi professionisti, lavoratori, pensionati, insegnanti, casalinghe (e mille altre categorie) che si alzano ogni mattina con l’intento di costruire qualcosa per questo Paese.
Quindi un invito: smettiamola di denigrarci e cominciamo a essere fieri di noi stessi.
Tanto alla fine una cosa la sappiamo tutti (e se lo mettano in testa anche oltralpe): a noi “chi c’ammazza”?
Johannes Bückler