Caro Direttore,
osservando il nostro Paese ci si rende conto di come, rispetto al resto del mondo, siamo sempre in leggera controtendenza.
Siamo persino riusciti a rendere surreale il dibattito sugli esodati, complicandoci la vita sul participio passato di un verbo (esodare) che nel vocabolario italiano nemmeno esiste.
Va beh, andiamo avanti.
E’ in discussione finalmente una nuova riforma fiscale dove le protagoniste sono sempre loro: le sigle.
IRPEF, che a un certo punto volevano trasformare in Ire ¬– ricordate? – e che rimarrà inalterata nelle sue aliquote, IMU (che stiamo imparando a conoscere e speriamo presto anche a capire), IRAP (che rimarrà in vigore perché si dice “poi dove troviamo i 35 miliardi che mancano all’appello?”, Green tax e Carbon tax. Finita? No. Tra le novità più attese e discusse l’introduzione di una nuova tassa a carico delle aziende, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale ? No. Imposta sul Reddito Imprenditoriale), che andrà a sostituire (ah meno male) l’Ires (Imposta sul Reddito delle Società), che ricordiamo fu introdotta nel 2003 al posto dell’Irpeg (giuro mi gira la testa).
Sinceramente non sentivamo la mancanza di una nuova sigla perché da sempre Bückler ritiene che tre siano le cose fondamentali di una riforma fiscale: lotta all’evasione, semplificazione e una progressiva riduzione del carico fiscale.
Fermo restando che i proventi della lotta all’evasione dovranno essere necessariamente utilizzati per ridurre le tasse (per rispondere a uno dei tre capisaldi del decreto Salva Italia, l’equità) indispensabile sarà mettere mano alla semplificazione e purtroppo una nuova sigla non aiuta certo.
Semplificare, semplificare, semplificare.
Anche a costo di istituire un ministero per la semplificazione (naturalmente senza portafoglio, vuoi mai visti i tempi).
Come dice direttore? Esisteva già? E come mai non ce ne siamo mai accorti? Ah dimenticavo accidenti. Quella maledetta leggera controtendenza.
Un caro saluto
Johhanes Bückler
osservando il nostro Paese ci si rende conto di come, rispetto al resto del mondo, siamo sempre in leggera controtendenza.
Siamo persino riusciti a rendere surreale il dibattito sugli esodati, complicandoci la vita sul participio passato di un verbo (esodare) che nel vocabolario italiano nemmeno esiste.
Va beh, andiamo avanti.
E’ in discussione finalmente una nuova riforma fiscale dove le protagoniste sono sempre loro: le sigle.
IRPEF, che a un certo punto volevano trasformare in Ire ¬– ricordate? – e che rimarrà inalterata nelle sue aliquote, IMU (che stiamo imparando a conoscere e speriamo presto anche a capire), IRAP (che rimarrà in vigore perché si dice “poi dove troviamo i 35 miliardi che mancano all’appello?”, Green tax e Carbon tax. Finita? No. Tra le novità più attese e discusse l’introduzione di una nuova tassa a carico delle aziende, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale ? No. Imposta sul Reddito Imprenditoriale), che andrà a sostituire (ah meno male) l’Ires (Imposta sul Reddito delle Società), che ricordiamo fu introdotta nel 2003 al posto dell’Irpeg (giuro mi gira la testa).
Sinceramente non sentivamo la mancanza di una nuova sigla perché da sempre Bückler ritiene che tre siano le cose fondamentali di una riforma fiscale: lotta all’evasione, semplificazione e una progressiva riduzione del carico fiscale.
Fermo restando che i proventi della lotta all’evasione dovranno essere necessariamente utilizzati per ridurre le tasse (per rispondere a uno dei tre capisaldi del decreto Salva Italia, l’equità) indispensabile sarà mettere mano alla semplificazione e purtroppo una nuova sigla non aiuta certo.
Semplificare, semplificare, semplificare.
Anche a costo di istituire un ministero per la semplificazione (naturalmente senza portafoglio, vuoi mai visti i tempi).
Come dice direttore? Esisteva già? E come mai non ce ne siamo mai accorti? Ah dimenticavo accidenti. Quella maledetta leggera controtendenza.
Un caro saluto
Johhanes Bückler
Leggi la lettera sul Corriere della Sera
Ben tornato Buckler!! Era un pò di tempo che non ti facevi sentire. Tutte queste sigle sono ridicole, forse danno da lavorare a specialisti di acronimi che le inventano, magari laureati in materie umanistiche.Bisognerebbe invece potenziare altre competenze per far quadrare i conti.L'unica cosa valida per far cambiare qualcosa è lo sciopero fiscale, cioè fare a meno di pagare le tasse, naturalmente riferito a quei cittadini che le pagano e le pagano tutte e non possono nascondersi dietro società di comodo o altro.
RispondiEliminaMi permetta di dissentire sullo sciopero fiscale. Al di là del fatto che le leggi prima si rispettano e poi si cambiano, non pagare le tasse significherebbe non avere più servizi. Ospedali, strade, sicurezza, medicinali, scuole. No grazie.
RispondiEliminaIo sono dell'idea che i servizi vadano anche pagati in parte da chi ne usufruisce Mi riferisco soprattutto ai servizi della sanità dove milioni di persone fanno visite non necessarie, esami superflui, essendo esenti ticket per falso reddito. Chi ha bisogno di curarsi è costretto ad andare privatamente a pagamento, infatti prosperano le assicurazioni.
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